Teamworking e Gestione Conflitti

Non possiamo dare il meglio di noi rimanendo isolati. Questo vale ovunque, in famiglia, con gli amici, a maggior ragione sul lavoro. Non a caso la capacità di fare squadra è una delle competenze più richieste negli annunci di ricerca di lavoro a tutti i livelli e le capacità di guidare, oltre che di costruire, un team sono determinanti per la scelta di persone a cui affidare posizioni manageriali in azienda.

«Non la finanza. Né la strategia. Né la tecnologia.
È il lavoro di squadra il vantaggio competitivo fondamentale».

Con questa affermazione si apre “La guerra nel team”, il best seller mondiale scritto dal consulente e speaker americano Patrick Lencioni, considerato uno dei massimi esperti in materia. Lencioni precisa anche che il lavoro di squadra è il vantaggio competitivo fondamentale perché è tanto potente quanto raro. Se così non fosse, d’altra parte, non si organizzerebbero così tanti corsi di team-building nelle aziende di tutto il mondo. Come diceva già il filosofo greco Aristotele, l’uomo è un “animale sociale”, e quindi naturalmente portato a stare in gruppo, ma ciò non significa che sia così naturalmente portato al lavoro di squadra.

In questa guida scoprirai la differenza tra un “gruppo” e una “squadra”, quali sono i sintomi più comuni della malattia del team, come dev’essere e cosa deve fare un team leader, ovvero una persona competente e consapevole di come si gestiscono i conflitti. Comprese alcune indicazioni sperimentate ed efficaci su come dedicare tempo a formare la tua squadra vincente!

Ecco l’indice della guida:

IL LIVELLO DI SALUTE DEL TUO TEAM

L’influenza dell’ambiente su comportamento e benessere
La differenza tra essere un gruppo o un team
Meglio nascondersi per paura del conflitto

QUANDO IL TEAM NON FUNZIONA

Assenza di FIDUCIA
Paura del CONFLITTO
Mancanza di IMPEGNO
Fuga dalle RESPONSABILITÀ
Disinteresse verso i RISULTATI
Un set di domande per riflettere sul tuo team

LE COMPETENZE PER GUIDARE UN TEAM

Soluzione di problemi complessi
Abilità di giudizio e di analisi
Intelligenza emotiva
Orientamento al risultato
Abilità di comunicazione
Flessibilità cognitiva
Iniziativa e capacità di prendere decisioni
Resilienza come risposta al fallimento

DEDICA TEMPO A FORMARE IL TUO TEAM

Il training strutturato
Sei pronto per il tuo training plan?
Le regole per un training efficace
L’identità di un team ben formato
Dalla squadra al singolo: il coaching
Le fasi del coaching strutturato
Supporto per superare i momenti di stop

 

IL LIVELLO DI SALUTE DEL TUO TEAM

Se stare in gruppo soddisfa uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano, il bisogno di unione, dall’altro lato lavorare in squadra richiede la capacità di mettersi in gioco, di uscire dalla zona di comfort degli schemi mentali personali che invece soddisfano un altro bisogno fondamentale dell’essere umano: quello della sicurezza. Quanto più è rigida la zona di comfort dei suoi membri, tanto più è precario il livello di salute del team.

Nella mia esperienza ho lavorato con team aziendali e sportivi di grande prestigio e ogni volta ho potuto constatare che i risultati di una squadra sono in diretta proporzione del suo stato di salute. Un team malato produce solo risultati scarsi, indipendentemente dal talento e dal livello di esperienza dei suoi singoli elementi.

Questo perché un team è qualcosa di più della semplice somma delle persone che lo compongono, è una realtà complessa in cui ogni parte deve procedere in modo armonico nella medesima direzione. Ciò che fa la differenza è il modo con cui i membri del gruppo si relazionano e operano insieme: dal tipo di relazione che si instaura tra loro, dipende il livello di salute del team.

 

L’INFLUENZA DELL’AMBIENTE SU COMPORTAMENTO E BENESSERE

Come ben sai l’ambiente non è un concetto solamente fisico, costituito dagli spazi e dagli oggetti che ci circondano. In questa guida mi interessa parlarti dell’ambiente personale, dell’ambito composto da tutte le persone che ci stanno intorno e che, per un motivo o per l’altro, si relazionano con noi.

L’ambiente così inteso ha un’influenza enorme sul nostro comportamento e sul nostro benessere, sia in positivo che in negativo. Se, infatti, vivi in un ambiente stimolante, pieno di input di crescita e sviluppo personale e collettivo, hai la possibilità di evolverti e di raggiungere tutti i tuoi obiettivi di successo. Se, al contrario, vivi in un ambiente “tossico”, dove tutto ciò che ti circonda ti ruba energia e motivazione, ti ritroverai ben presto a vivere una vita di sopravvivenza, trascinandoti giorno dopo giorno lontano dai tuoi obiettivi.

La consapevolezza dell’influenza che l’ambiente ha sulla tua persona può spaventare, ma la notizia positiva è che tu puoi scegliere in quale ambiente vivere. E ovviamente di quale team circondarti o fare parte. Sei tu che, nel momento in cui ti accorgi della negatività dell’ambiente che ti circonda, puoi decidere di “cambiare aria” e cercare un ambiente diverso oppure utilizzare le tue energie e le tue risorse per rendere il team di cui fai parte più potenziante!

Per fare entrambe le cose ci vuole impegno e, molto spesso, le persone preferiscono lamentarsi della situazione in cui vivono anziché fare qualcosa per cambiarla. Cambiare ambiente non è facile, anche perché chi decide di cambiare trova sempre diverse spinte contrarie che faranno di tutto per impedirgli di farlo.

 

LA DIFFERENZA TRA ESSERE UN GRUPPO O UN TEAM

Non sono le affinità caratteriali o di competenza e interesse dei membri che contraddistinguono un team. Non basta neppure uno status in comune. D’altronde gli abitanti della stessa città o gli inquilini dello stesso palazzo non sono un team, sono solo un gruppo di persone che hanno qualcosa in comune. C’è una bella differenza tra essere un gruppo o un team!

In molte aziende ci sono gruppi di persone accomunate dal fatto di lavorare nello stesso luogo, magari anche dal fatto di avere lo stesso capo e sono “team” solo sulla carta, ma non di fatto perché in realtà ciascun membro porta avanti il proprio lavoro con l’unico obiettivo di raggiungere il budget personale (nel caso di venditori) oppure di smarcare una lista di cose da fare o, peggio ancora, di arrivare semplicemente a fine giornata.

«Un team è un gruppo di persone
che può avere caratteristiche diverse,
ruoli e funzioni diversi.
Ma avrà obiettivi comuni,
responsabilità e valori condivisi»

Il valore di un team non è riducibile alla somma del valore dei suoi membri. Un team che funziona è sinergico e la somma del valore dei singoli membri si eleva in modo esponenziale con il risultato che 1+1 dà sempre molto più di 2.

In team le persone diventano più creative, perché possono condividere e mettere a fattor comune le proprie idee. Diventano più intelligenti, più “smart”, perché possono scambiarsi informazioni e conoscenze e quindi risparmiare tempo. Diventano anche più performanti perché si stimolano a vicenda. E alla fine producono sempre qualcosa che non avrebbero potuto produrre singolarmente, neppure se avessero avuto molto più tempo a propria disposizione.

 

MEGLIO NASCONDERSI PER PAURA DEL CONFLITTO

Purtroppo non sempre nei team 1+1 dà più di 2. Ci sono casi in cui questa somma dà addirittura meno di 2. Ci sono team dove le capacità delle persone non si elevano ma, al contrario, vengono soffocate per mancanza di fiducia, per paura di sbagliare o, peggio ancora, per paura di essere “troppo bravi”.

Perché essere troppo bravi talvolta può suscitare le invidie dei colleghi o addirittura dei propri capi che preferiscono avere collaboratori “bravini” per stare tranquilli. Un leader incapace, insicuro, genera facilmente situazioni di questo tipo: sono i cosiddetti manager “di plastica”, belli fuori ma vuoti dentro.

In molte aziende poi ci sono persone che attuano curiose forme di mimetismo con le pareti e le scrivanie nel tentativo di fuggire alle responsabilità. Anche in questo caso, le persone lavorano come se avessero il freno a mano tirato e, di conseguenza, l’intero team si muove al ritmo di un pachiderma. La paralisi o il rallentamento del team spesso è riconducibile a conflitti mal gestiti o latenti. Spesso si preferisce una logorante “guerra fredda” fatta di frecciatine e piccoli sgambetti e di email con mezze accuse inviate in copia conoscenza a mezza azienda pur di evitare un conflitto aperto.

Sì, perché il conflitto aperto fa paura. La maggior parte delle persone evita il conflitto aperto perché teme di poter perdere qualcosa: tempo, risorse, oppure addirittura il ruolo e il lavoro. Ecco perché spesso si gioca in difesa, la difesa del proprio interesse personale. E ci si dimentica che il miglior modo per fare il proprio interesse personale è fare il bene del team.

Laddove i membri di un team sono focalizzati sui propri risultati personali – anziché su quelli del team – ci sono buone possibilità che il risultato della somma 1+1 sia inferiore a 2, indipendentemente dal talento dei singoli elementi del team.

Così come nello sport non basta mettere insieme i più grandi giocatori del mondo per avere una squadra vincente, allo stesso modo in un team di lavoro non conta solo il talento, il livello di preparazione e l’esperienza dei singoli individui. Conta la strategia, contano gli scambi tra i vari membri del team e l’allineamento.

 

 

QUANDO IL TEAM NON FUNZIONA

Patrick Lencioni, consulente americano specializzato nello sviluppo di team e nella salute delle organizzazioni, è autore di diversi saggi. Fra questi “La guerra nei Team”, nel quale propone cinque caratteristiche per costruire una squadra efficace e coesa.

In un team efficace, i membri:

  • Si fidano uno dell’altro
  • Sono capaci di usare in modo produttivo il conflitto d’idee
  • Si dedicano alle decisioni e agli obiettivi concordati
  • Si ritengono reciprocamente responsabili rispetto ai piani d’azione
  • Si concentrano sul raggiungimento degli obiettivi di business comuni

Secondo l’approccio provocatorio di Lencioni, vi sono 5 potenziali disfunzioni in ogni team, strettamente connesse tra loro in un rapporto di dipendenza. Ecco i sintomi più comuni della malattia del team:

  • I membri non si fidano gli uni degli altri
  • Si preferisce la “guerra fredda” pur di evitare il conflitto aperto
  • Non è ben chiaro chi deve fare cosa, ossia quali sono le responsabilità di ciascuno
  • Quando gli obiettivi non vengono raggiunti si innesca il gioco delle colpe
  • C’è una scarsa attenzione ai risultati dell’intera squadra

ASSENZA DI FIDUCIA

Alla base della piramide si trova l’assenza di fiducia tra i membri del team. Senza fiducia reciproca, Lencioni sostiene che è difficile parlare di squadra, visto che i componenti (in guerra tra loro) non riusciranno a lavorare insieme in maniera efficace.

La sfiducia può derivare da una mancanza di conoscenza tra i membri, in particolare delle vulnerabilità proprie e altrui. Nel nostro team infatti ci aspettiamo che gli altri siano invulnerabili, competenti, forti e perfetti. Se riscontriamo incoerenza e incapacità nel mantenere gli standard qualitativi, allora ci chiudiamo con atteggiamento difensivo senza più chiedere aiuto agli altri.

Risultato? Nessuno si supporterà a vicenda, né si scambierà più esperienze. Invece di “pensare male”, dovremmo iniziare ad ammettere gli errori e ad accettare feedback sul nostro comportamento: solo così capiremo che le intenzioni degli altri membri del team sono positive e costruttive.

 

PAURA DEL CONFLITTO

Il confronto deve essere vissuto come occasione di crescita. Purtroppo però a nessuno piace discutere, meno che mai quando si ha paura di perdere o di dover ammettere di aver sbagliato. Al contrario, il desiderio di preservare un’armonia artificiale sopprime i conflitti e i dibattiti spontanei e appassionati.

Ma evitare il conflitto, che quando è produttivo è uno degli ingredienti chiave per il successo di un gruppo, non serve. Se non sfocia in ambiti personali, legati ai valori o all’aspetto fisico, e ci si considera tutti sullo stesso piano, allora il conflitto costruttivo farà scattare una fiducia basata sulla reciproca vulnerabilità. Una discussione, finalmente alleggerita dalle diffidenze, potrà focalizzarsi soltanto sulle idee.

 

MANCANZA DI IMPEGNO

C’è impegno quando le regole del gioco sono chiare, condivise e frutto dell’apporto individuale di ognuno. Spesso la carenza di impegno è generata da una mancata chiarezza o dal mancato coinvolgimento nel perseguire risultati comuni.

Ciò deriva dal fatto che le persone, non esprimendo apertamente le proprie opinioni, non fanno emergere il disaccordo. D’altronde coloro che non riescono a esprimere la propria opinione e non vengono ascoltati, difficilmente faranno propria una decisione altrui.

La mancanza di impegno provoca ambiguità: i membri del gruppo, una volta lasciata la discussione, potrebbero non rispettare le decisioni prese dal gruppo, o addirittura promuoverle facendole passare come proprie. Viceversa i team produttivi creano decisioni e piani d’azione chiari e sono certi di avere il supporto di ogni membro della squadra.

 

FUGA DALLE RESPONSABILITÀ

Il piano d’azione? Deve essere chiaro: chi fa cosa e quando è alla base di ogni team efficace. Lencioni – che non considera il senso di responsabilità come un fatto esclusivamente individuale – in base all’assioma secondo cui “la velocità di un’organizzazione equivale a quella del suo membro più lento”, sostiene che per mantenere elevati gli standard qualitativi del lavoro è necessario che i membri del gruppo si richiamino reciprocamente alle rispettive responsabilità.

Così ci si assicura che chi ha performance più basse rispetto al resto del gruppo senta sempre la pressione a migliorare: mettere in discussione l’approccio degli altri, farà sì che i problemi vengano identificati prima. Ma un team inizia a funzionare male quando i membri tendono a evitare il disagio generato dal dover richiamare un altro collega relativamente ad azioni e comportamenti controproducenti rispetto all’obiettivo comune.

Se la gente inizia a non sentirsi coinvolta come parte integrante del processo di definizione del piano, allora nessuno si prenderà delle responsabilità. Tutti staranno a guardare, scaricando le proprie responsabilità verso gli altri. Alla fine la mancanza di responsabilità determinerà bassi standard di qualità.

 

DISINTERESSE VERSO I RISULTATI

Ogni membro deve contribuire al successo del team e anteporlo a quello personale. In generale, la presenza di disfunzioni determina una mancanza di attenzione per i risultati comuni: anteponendo l’obiettivo del singolo, nessuno riuscirà più a concentrarsi sul raggiungimento del successo collettivo.

Lencioni posiziona questa disfunzione sulla punta della piramide: il raggiungimento dei risultati (anche quelli intermedi, in funzione del raggiungimento dell’obiettivo finale) rappresenta il fine ultimo dell’esistenza stessa del gruppo.

 

UN SET DI DOMANDE PER RIFLETTERE SUL TUO TEAM

Probabilmente leggendo le varie disfunzioni del team avrai riflettuto sullo stato di salute del tuo team. Ecco allora alcune domande che possono servire per capire ancora meglio lo stato di salute di un team e cosa può fare il leader per evitare quelle disfunzioni, mettendo la sua squadra nelle condizioni giuste per vincere.

Queste domande fanno parte dei principi della socievolezza elaborati da Dale Carnegie, fondatore della prima scuola di risorse umane del mondo, la Dale Carnegie Training, e autore del famoso libro “Come trattare gli altri e farseli amici”.

  • Nel tuo team c’è senso di appartenenza?
  • I tuoi collaboratori sono soddisfatti del vostro rapporto?
  • Quanto tempo dedichi a comprendere le motivazioni che hanno spinto qualcuno a dire o fare una certa cosa?
  • Quanto riesci ad ascoltare attivamente le persone, dimostrando sincero interesse e prestando attenzione alle piccole cose?
  • Sei abile a chiarire bene le aspettative fin dall’inizio?
  • Sei una persona che promette o una che realizza?
  • Riesci a mantenere gli impegni presi e a fare ciò che hai detto?
  • Quando è necessario, sei in grado di scusarti sinceramente e onestamente?
  • Sai essere disponibile quando serve, sapendo dire di “no” quando è utile?
  • Confondi gli sforzi (anche a vuoto) con i risultati?

 

LE COMPETENZE PER GUIDARE UN TEAM

Il management è quell’arte che si occupa di fare in modo che le cose vengano realizzate. Sono i manager e gli imprenditori, con l’aiuto della propria squadra di persone, a decidere gli obiettivi e ad assicurarsi che vengano raggiunti. In base alla capacità di leadership, gestiscono le cosiddette “risorse” occupandosi di processi, di eventi contingenti e di programmi pianificati. In un’impresa, sia essa grande o piccola, il manager è importante – e viene pagato di conseguenza – perché ha la responsabilità finale rispetto agli obiettivi che deve raggiungere insieme al suo team.

Oggi però il mondo del lavoro è totalmente cambiato: non basta più la qualità, non è sufficiente mettere sul mercato un buon prodotto o un ottimo servizio per avere successo. La differenza ora si misura sull’atteggiamento mentale di chi dirige un’impresa, sulle convinzioni che lo sostengono, sulla flessibilità e sulla valorizzazione dei punti di forza. Sulla capacità di orientamento verso un obiettivo e sulla gestione delle emozioni. Sull’attitudine a cambiare velocemente e sul riuscire a guidare il proprio team nel fare questo.

Che caratteristiche deve avere il leader di un team? Per esperienza, un leader che gestisce una squadra, prima ancora di “saper fare” deve dimostrare a se stesso di “saper essere”. Esistono cioè delle qualità importanti che vanno coltivate, sviluppate e modificate in base ai tempi e ai contesti in cui ci si trova a svolgere il proprio lavoro.

Vediamo allora quali siano le skill fondamentali che non possono mancare nel bagaglio di colui che per mestiere deve guidare una squadra verso gli obiettivi.

 

SOLUZIONE DI PROBLEMI COMPLESSI

Nessuno vuole problemi, tutti vogliono soluzioni. Soprattutto i manager e gli imprenditori, e soprattutto se i problemi sono complessi. Ciò che sarà sempre più richiesto, nelle aziende così come in generale nel mondo del lavoro, è la capacità di avere molteplici approcci per arrivare al risultato, per far crescere la visione del futuro.

Il cosiddetto “Problem solving” è dunque l’abilità di reperire e analizzare – con uno sguardo esterno e creativo – tutte le informazioni disponibili, per arrivare a definire la scelta migliore in base ai fatti conosciuti, al contesto e alle eventuali conseguenze. Le aziende cercano persone in grado di trovare soluzioni semplici a problemi complessi. Se gli scenari diventano complicati e interconnessi fra loro, giocoforza le strade dovranno essere nuove, diverse dal passato. Più numerose, imprevedibili. E quando è necessario, rischiose.

Saper infondere al proprio team la cultura del Problem Solving equivale a strutturare un atteggiamento mentale utilissimo alla tua squadra: ognuno di loro si sentirà meno solo di fronte alla complessità, perché si sarà diffusa la credenza di far parte di un gruppo di gente che non si arrende. Che si ingegna quando… il gioco si fa duro!

 

ABILITÀ DI GIUDIZIO E DI ANALISI

Un manager mentalmente elastico è più abile di un altro nel cogliere i nessi tra i vari aspetti di una questione per risolvere i problemi. Sviluppare l’elasticità mentale e la capacità di giudizio ti aiuterà a scomporre, decodificare e analizzare gli elementi di un contesto per comprendere la sua natura. E generare così nuovi legami (tra i progetti, tra i team, a livello organizzativo) più in linea con la realtà che ti circonda.

 

INTELLIGENZA EMOTIVA

La capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle degli altri – di fatto lo sviluppo della propria Intelligenza Emotiva – può fare davvero la differenza in qualunque ambito professionale. Grazie ad alcuni studiosi, primo tra tutti Daniel Goleman, oggi conosciamo i meccanismi che regolano le nostre emozioni e proprio per questo siamo potenzialmente in grado di governarli. Oggi sappiamo di essere noi i responsabili del nostro stato emotivo, abbiamo il potere di gestire le nostre emozioni e possiamo uscire da stati “emozionali negativi” nel momento in cui diventano un ostacolo.

 

ORIENTAMENTO AL RISULTATO

I manager hanno la missione di arrivare al traguardo e assumersi la responsabilità di conseguire gli obiettivi stabiliti. L’attitudine nei confronti della competizione è fondamentale per avere successo, così come il sapere con chiarezza la distanza dai propri traguardi e il percorso per arrivare a destinazione. Vince Lombardi, allenatore di football americano negli anni ‘60 e grande motivatore, diceva ai suoi giocatori che “Vincere è un’abitudine, come pure perdere”. La vittoria, sosteneva, è fatta di comportamenti eccellenti ripetuti costantemente.

 

ABILITÀ DI COMUNICAZIONE

Essere capaci a trasmettere informazioni in modo efficace, semplice e persuasivo è ciò che fa davvero la differenza per un team leader. Un manager competente non può sottrarsi a un continuo processo di miglioramento su questo fronte: non può non saper comunicare con efficacia nelle riunioni ristrette con i collaboratori, negli speech davanti a una platea più vasta, nella comunicazione scritta che viaggia sul filo della tecnologia. Aver fatto un buon lavoro, non basta. Saper gestire le relazioni (con il team e non solo) non basta. Saper coordinare le risorse a disposizione (budget, attrezzature, luoghi, logistiche) non basta. Tutto questo va comunicato, spiegato, illustrato: con chiarezza, sintesi ed efficacia. Altrimenti qualcun altro lo farà al posto tuo. E tu perderai il controllo.

 

FLESSIBILITÀ COGNITIVA

Nella visione manageriale del terzo millennio, essere “Adaptive” non significa reagire passivamente al cambiamento, né modificare le strategie in chiave difensiva solo per parare i colpi che arrivano dalle variabili del mercato. Be Adaptive vuol dire invece concepire le singole sfide come un’opportunità di crescita e momento di riprogrammazione positiva. Di fatto come leva per innovare, per rimodulare quel giusto percorso che consente a una impresa di raggiungere traguardi importanti e redditizi.

 

INIZIATIVA E CAPACITÀ DI PRENDERE DECISIONI

Tutti nella nostra vita professionale attraversiamo momenti difficili. La differenza tra gli individui spesso si misura valutando le loro decisioni in quegli istanti di difficoltà. Ci sono manager che di fronte al proprio team decidono di utilizzare la crisi come stimolo per cambiare, come avventura verso l’ignoto come opportunità di crescita. Altri invece, disponendo di minore leadership personale, si mostreranno immobili, iniziando a lamentarsi e facendo opera di auto-commiserazione. Saprai bene che è in quei momenti che la squadra misura l’abilità del proprio “capitano”: in quegli istanti il capo deve decidere, e le sue gesta sono al centro dell’attenzione di una “truppa” che a volte è allo sbando per la “botta” ricevuta.

 

RESILIENZA COME RISPOSTA AL FALLIMENTO

Anche nelle storie l’eroe non è la persona che non sbaglia, che non commette mai errori: è invece colui che sa rialzarsi dopo una caduta, che sa scrollarsi di dosso la polvere della battaglia per ripuntare lo sguardo verso il nuovo scenario. Coltivare una capacità di resilienza sul lavoro significa riuscire ad affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di crisi, riorganizzando positivamente la propria squadra anche di fronte a periodi difficili.

 

 

DEDICA TEMPO A FORMARE IL TUO TEAM

Conoscerai la storia del giovane taglialegna di fronte a una catasta enorme da spaccare. Il lavoro diventava sempre più faticoso e servivano sempre più colpi per tagliare ogni tronco. Più si impegnava, più sembrava che i suoi sforzi fossero inutili. Faceva il triplo della fatica con la metà del risultato. Tutto quello che poteva fare era spingere la sega con più veemenza nel legno.

Si trovò a passare di lì un altro taglialegna, molto più anziano ed esperto. Questi vide la fatica che stava facendo il giovane e allora da lontano gli urlò: «Affila la lama!!!». Per tutta risposta, il giovane rispose: «Ma cosa dici vecchio? Non vedi quanta legna ho da tagliare, non ho tempo per fermarmi ad affilare la lama!».

Sappiamo che nella nostra professione quando “affiliamo la lama”, l’efficacia di ogni azione aumenta di colpo, diminuisce impegno fisico e si riduce il tempo impiegato per le varie attività. Quante volte capita di sentir dire in azienda: «Non c’è tempo per la formazione». In molte aziende il training viene visto come un’interferenza con il proprio lavoro e quindi una sostanziale perdita di tempo. In ogni caso, secondo molti manager, i collaboratori non sarebbero in grado di apprezzarlo. È esattamente l’atteggiamento del taglialegna che va avanti con una lama non affilata, quando invece il training attiva un processo di miglioramento profondo e continuo. Fare formazione serve proprio per affilare la lama ricominciare poi in maniera più produttiva.

Certo, poi c’è formazione e formazione.

 

IL TRAINING STRUTTURATO

Un percorso di training diventa strutturato quando è un processo continuo e non occasionale, i collaboratori non si sottraggono, il programma è preciso e organizzato di argomenti che vengono portati in aula. Vediamo quali sono i vantaggi:

Il training definisce gli standard.
Un training efficace deve fissare degli standard al di sotto dei quali le performance non sono accettabili. Questo permette di avere un’idea chiara non solo di dove vogliamo arrivare ma anche di dove siamo, dandoci la possibilità di identificare le aree su cui dobbiamo migliorare.

Il training fa guadagnare.
Immagina di allenare i tuoi venditori a rispondere alle obiezioni su un prodotto o di formare i tuoi responsabili di area in modo che il loro lavoro sia più produttivo ed efficiente. Non credi che tutto questo si traduca in maggiori risultati in minor tempo? Il training è focus consapevole sul problema e azioni massicce per il miglioramento.

Il training aiuta in periodi di crisi.
Nei momenti difficili capita che le persone si contagino in un mood di vittimismo da cui è difficile uscire, con evidenti ripercussioni sul morale generale e sui risultati. Un buon training permette di supportare gli stati d’animo dei collaboratori e di orientarli verso le leve del miglioramento, non solo a livello dei singoli ma di squadra nel suo complesso, facendoli concentrare sulle possibili soluzioni anziché sul problema.

Il training è la chiave per acquisire nuove abilità.
Attraverso il training è possibile allenare un comportamento, un atteggiamento o una capacità rispetto a una determinata situazione attraverso un confronto costante con la squadra, senza lasciare il singolo abbandonato a se stesso.

 

SEI PRONTO PER IL TUO TRAINING PLAN?

A questo punto ti invito a stendere il tuo training plan, e per farlo ti suggerisco di farti guidare dalle seguenti domande:

WHO: quali persone e/o dipartimenti della tua azienda vuoi coinvolgere?

WHAT: quale training vuoi far partire? Cosa vuoi far apprendere alle persone? Cosa vuoi stimolare? Cosa vuoi che ricevano?

WHY: perché? Quale impatto vuoi generare con questo training?

WHEN: quando e con quale frequenza vuoi che i tuoi collaboratori vengano sottoposti a training?

WHICH: quale metodologia userai per gli argomenti prescelti?

 

LE REGOLE PER UN TRAINING EFFICACE

Ecco quali sono gli aspetti da tenere in considerazione quando si pianifica un processo di training:

1. Scegli il team e il team leader corretti
È fondamentale, altrimenti rischi di trovarti in aula con persone che non si sentono coinvolte dall’argomento, che non saranno quindi motivate e che farai fatica a far partecipare in aula. Il team leader deve essere percepito come una persona che ha competenze sull’argomento e gli altri partecipanti devono riconoscerne il ruolo. Deve trasmettere le sue convinzioni e il valore del training: quindi il suo atteggiamento, anche in termini di puntualità e affidabilità, deve essere impeccabile.

2. Usa strumenti di supporto al training
Parole, parole, parole. I trainer che si basano solo sulla comunicazione verbale rischiano di trovarsi di fronte un pubblico che dopo poco non riuscirà più a seguire, perché la nostra mente fatica a elaborare e far propri concetti astratti slegati da qualunque immagine. Per questo l’uso di supporti visivi come i video e le slide sono fondamentali per la buona riuscita di un training. La lavagna serve a fissare le parole chiave, usare disegni o grafici, nel caso delle slide invece è importante che siano supportate dalle immagini.

3. Stabilisci i tempi di lavoro all’interno del training
Gestire correttamente il tempo ti permetterà di scandire un ritmo adeguato in termini di riflessione, analisi della situazione e di quanto emerso dal training stesso. È fondamentale prevedere dei tempi di lavoro individuale o di gruppo su alcuni temi importanti per dare ritmo con l’alternarsi di domande, risposte e interazioni dei partecipanti, in modo da tenere costantemente alta la curva dell’attenzione.

4. Mantieni un focus costante sugli obiettivi e sulle priorità
Alla fine di un momento di training occorre stabilire le linee guida per il futuro, dando istruzioni precise ai partecipanti e stabilendo cosa va o non fa fatto. Il trainer fa in modo che, esattamente come alla fine di una riunione produttiva, tutto il team sia allineato su quello che è emerso e sui successivi step in ordine di priorità.

 

L’IDENTITÀ DI UN TEAM BEN FORMATO

Ci si accorge immediatamente quando si ha a che fare con un’azienda che fa training. Le persone sono sicure di loro stesse, gestiscono situazioni anche complesse con fluidità, è visibile il lavoro di squadra e si percepisce la cultura d’impresa.

In poche parole sono aziende che realizzano un modello unico e irripetibile definendo in modo chiaro ed efficace la loro storia, i loro valori, la loro vocazione, la loro immagine: in un’unica parola la loro identità.

È quello che succede per esempio quando vai in un Apple Store. È tangibile come un costante lavoro di formazione interna faccia la differenza per creare quella che è una vera e propria filosofia, che i dipendenti riescono poi a trasferire ai clienti.

«Portatemi via la mia gente e lasciatemi le aziende vuote
e presto l’erba crescerà sul pavimento dei reparti.
Portatemi via le aziende e lasciatemi le persone con cui lavoro
e presto avrò aziende migliori di prima».
(Andrew Carnegie)

In conclusione sviluppare un modello di training efficace e strutturato vuol dire risparmiare tempo, non dedicarsi solo alle emergenze e avere un team motivato e proattivo. Bisogna smettere di pensare che i propri dipendenti non abbiano altro interesse che timbrare il cartellino, o che sia uno spreco di energia o ancora che non ci sia il tempo. Sarebbe il primo ostacolo verso quel potenziale in attesa di essere scoperto.

«Un’organizzazione adulta è quella in cui le persone
hanno le conoscenze, le capacità, il desiderio e l’opportunità
di avere successo a livello personale
in un modo che porta al successo di tutta l’organizzazione».
(Stephen R. Covey)

Le persone si sentiranno più coinvolte e inizieranno entro breve tempo a dare il proprio contributo e a rispettare gli impegni. Avere la sensazione di sentirsi parte di qualcosa le stimolerà inoltre a dedicarsi con crescente passione al proprio lavoro.

 

DALLA SQUADRA AL SINGOLO: IL COACHING

Abbiamo visto uno strumento utile per i team, vediamone ora uno utile per il singolo individuo: il coaching.

«Le metodologie di coaching sono orientate al risultato,
piuttosto che centrate sul problema».
(Robert Dilts)

Il coaching parte dal presupposto che ogni persona ha in sé le risorse per poter raggiungere i propri obiettivi e sfruttare al meglio il proprio potenziale. Quello che fa il coach è dare un punto di vista esterno, utile in quei casi in cui la persona è “impantanata” in una situazione. Non vuol dire ovviamente spiegare al collaboratore cosa deve fare e come: sarebbe l’equivalente del training improvvisato, una modalità amatoriale e raffazzonata seppur mossa da buone intenzioni.

Vediamo invece in cosa consiste e quali sono le fasi di un coaching strutturato.

 

LE FASI DEL COACHING STRUTTURATO

Perché sia efficace, un processo di coaching deve passare da fasi ben strutturate – che devono essere rispettate – dal momento che si lavora sia sulla parte emotiva della persona sia sulla parte cognitiva. Ciò implica quindi il trasferimento di dati e informazioni concrete in momenti precisi.

Vediamo insieme le fasi:

1. Individuazione dei bisogni

Aiuti il collaboratore a rendersi conto delle proprie difficoltà, dei propri desideri o di cosa ha bisogno per raggiungere un determinato obiettivo. Per farlo hai a disposizione uno strumento utilissimo, le domande. Ti aiuteranno a non dover spiegare “il come fare” ma a far emergere le risposte.

Ci sono due tipi di domande, ossia quelle aperte del tipo: «Cosa vuoi migliorare…», «Cosa puoi fare per…», «Come puoi fare questa cosa…», «Come puoi organizzare…» che ti saranno utili per raccogliere informazioni o per aiutare una persona ad aprirsi a nuove possibilità.

Ci sono poi le domande chiuse, quelle a cui invece è possibile rispondere solo con un «Sì» o un «No». Sono particolarmente utili nella fase della verifica, ovvero quando bisogna ribadire un punto fermo o verificare se le cose sono state comprese correttamente.

2. Osservazione e raccolta dati

È evidente che le nostre emozioni non sono un termometro preciso della realtà. Il nostro stato emotivo e le nostre percezioni potrebbero portarci a fare generalizzazioni tipo: «Questa cosa succede sempre» o «Non succede mai» o ancora «Non ci riesce nessuno». Se invece, raccogliendo i dati, capiamo che accade il 20% delle volte, o che succede ai due terzi della squadra in determinate circostanze, possiamo impostare il nostro lavoro di coaching in maniera più logica e razionale.

3. Motivazione al cambiamento

«Chi ha un perché abbastanza forte,
può superare qualsiasi come».
(Friedrich Nietzsche)

Ciascuno di noi per modificare delle abitudini ha bisogno di una leva che lo spinga a farlo. Più l’abitudine è radicata più la leva dovrà essere forte. Spesso la leva del dolore è la più efficace (sono le cosiddette persone “lontano da”) ma esistono anche altre persone che sono più motivate ad andare “verso” un obiettivo da raggiungere. È la differenza tra la leva del piacere e quella del dolore.

La domanda da porre potrebbe essere del tipo: «Come ti sentirai se non riuscirai a far raggiungere alla tua squadra i risultati prefissati?». Calandosi mentalmente nell’ipotesi di non riuscire, la persona troverà in quel dolore la spinta necessaria per trovare il suo come. Vale lo stesso con una leva del piacere. La qualità di questa domanda è fondamentale perché con una forte leva si crea una forte spinta motivazionale.

4. Pianificazione degli obiettivi

Tendenzialmente ogni primo settembre e gennaio ci sentiamo i maestri indiscussi dell’arte della pianificazione. Siamo pieni di buoni propositi per la nuova stagione o il nuovo anno e fioccano iscrizioni in palestra e liste di cose da fare. Naturalmente dopo due settimane l’entusiasmo è già finito.

La differenza tra avere dei vaghi desideri e degli obiettivi è che questi devono contenere delle caratteristiche precise, ovvero devono essere S.M.A.R.T.:

• Specifici: definiti al dettaglio. Raggiungere “x” di fatturato, vendere tot pezzi, realizzare una campagna pubblicitaria online che abbia un ritorno “x”.

• Misurabili: i numeri saranno un prezioso alleato della tua mente per approcciare l’obiettivo (per esempio: obiettivo mensile di vendita di 15.000 euro).

• Ambiziosi: se non ti spaventano almeno un po’, non ne vale la pena.

• Realizzabili: sii consapevole della situazione, non fissare obiettivi troppo grandi in termini di quantità e qualità, rischia di diventare demotivante.

• Tempificati: come diceva Napoleon Hill, gli obiettivi sono dei sogni con una scadenza. Fissa una data entro cui l’obiettivo deve essere raggiunto.

Una corretta pianificazione richiede degli obiettivi intermedi, in modo che tu sia costantemente orientato al risultato senza sentirti scoraggiato dalla mole di lavoro che all’inizio, tutta insieme, può sembrare insormontabile. In più puoi verificare periodicamente il livello raggiunto.

In questa fase dobbiamo specificare:

  • le risorse necessarie: persone, tempo, denaro, competenze
  • quali di queste risorse abbiamo a disposizione e quali no
  • dove possiamo trovare le risorse mancanti
  • eventuali vincoli o ostacoli alla realizzazione degli step
  • eventuali elementi facilitatori
  • cosa ci permetterà di capire se abbiamo raggiunto l’obiettivo prefissato

Le persone sopravvalutano ciò che possono fare in pochi mesi e sottovalutano ciò che possono fare in qualche anno. L’utilizzo di obiettivi a medio termine è fondamentale perché la scorretta valutazione delle tempistiche è una delle cause più frequenti che porta al fallimento di un obiettivo.

5. Applicazione pratica

In questa fase il collaboratore, che mette in atto quanto definito durante il coaching, potrebbe evidenziare un blocco, giustificato da frasi come: «Non ho avuto tempo di mettere in pratica le cose», «L’ho fatto per i primi giorni ma poi ho lasciato andare», «È difficile!». Sono tutte indicazioni molto utili riguardo i suoi standard.

6. Osservazione e feedback

Questa è la fase di valutazione di quanto messo in atto in termini di quantità e qualità, in particolare:

  • valutazioni oggettive delle performance, quindi dati numerici
  • credenze sull’attività svolta e sulle situazioni che si sono venute a creare
  • rivisitazione delle chiavi di lettura di un singolo evento per generare un potenziamento delle risorse

Il momento del feedback è importantissimo perché la persona consapevolizza i propri punti di forza e le aree su cui deve ancora lavorare.

 

SUPPORTO PER SUPERARE I MOMENTI DI STOP

Può succedere che il collaboratore non abbia una crescita costante, ma attraversi dei momenti di stop.

Potrebbe essere perché non crede fino in fondo di potercela fare, o perché non ha ancora sviluppato le competenze necessarie o ancora perché ha standard troppo bassi.

È normale in un percorso del genere, ma per evitare che si trasformi in frustrazione il coach in questo caso può usare il cosiddetto metodo delle 7R per ripercorrere alcune fasi:

Revisione: esaminare i risultati raggiunti. Serve a ridare lucidità al collaboratore che in questo momento potrebbe non riuscire a valutare il percorso fatto fino a quel punto.

Riaffermazione: recuperare la fiducia in se stessi grazie alla revisione dei risultati.

Riassestamento: inquadrare diversamente il problema, vederlo sotto un altro punto di vista. È fondamentale per riattivare le risorse interiori.

Rivalutazione: rimotivarsi al cambiamento. Quando riusciamo a vedere le cose in modo più costruttivo recuperiamo energia disponibile all’azione.

Riallineamento: fissare nuove scadenze per raggiungere l’obiettivo originario. È fondamentale rimodulare il piano di azione alla luce delle riflessioni precedenti.

Risorse: rivedere le risorse alle quali appoggiarsi per riprendere il cammino.

Rilancio: dell’energia e della motivazione. È un fattore emozionale importantissimo.

 

 

CONCLUSIONE

Come diceva il leggendario allenatore di football americano Vince Lombardi: «Vincere non è un fatto occasionale».

Conta la preparazione e il talento dei membri del team, ma contano soprattutto le dinamiche con cui i membri del team entrano in relazione. E il leader può fare molto per condizionare queste dinamiche.

In questa guida abbiamo analizzato i fattori critici del successo di un team e abbiamo anche visto quali sono le competenze necessarie e gli strumenti utili per gestire al meglio questi fattori critici e trasformarli in fattori di successo.

Mi auguro che la lettura di questa guida sia stata per te l’occasione non solo di apprendere qualche cosa di nuovo, ma anche di riflettere sullo stato di salute del tuo team, sui suoi punti di forza e sulle aree di miglioramento per ottenere sempre nuovi risultati.

Con questa lettura avrai acquisito alcune informazioni fondamentali per essere un perfetto membro della squadra, così come quelle necessarie per essere un ottimo team leader.

Queste skill sono importanti sia per chi lavora all’interno di un’organizzazione e sia per chi è libero professionista: entrambe queste figure avranno più successo tanto più saranno capaci di fare squadra, e di trasformarsi nell’alleato ideale nella storia dell’impresa dei propri business partner o clienti.

Non solo: il medesimo know-how non ti sarà utile soltanto in ambito professionale, ma anche sportivo e personale!

Il vero vincitore non è mai solo. Perché la vita è uno sport di squadra.

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